Chantal Vey


(et j’en pleure de tendresse)1

                                [e piango di tenerezza su questo]


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    Chantal Vey, alt Éditions, “PPP Pétrole - une cartographie de Chantal Vey”, Bruxelles, 2025 © l'artista



    Chantal Vey,”Iconografia_16A”,  transfer su carta, 30 x 30 cm, 2019 © l'artista





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Testo redatto per l'edizione d'artista
PPP | PÉTROLE
Une cartographie de Chantal Vey

alt Éditions, Bruxelles, 2025
 
Cofanetto nero opaco con chiusura magnetica, 22 x 16,5 x 3 cm.
9 fogli colorati piegati in quattro, 6 libretti bilingui francese/italiano
Opere Chantal Vey
Testo Émilie Flory, traduzione Alessandro Bresolin
Testo Ilaria Venezza
Grafica : Chantal Vey e Manu Blondiau - Neutre(s) 

50 esemplari numerati e firmati
54 €



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Sito web dell'artista
Chantal Vey

Sfilo. Lungo le linee – tratti neri ad alta tensione – il moi sguardo serpeggia i sentieri di terra, inciampa contro le pareti degli alberi, si anima con le note di Coltrane, rimbalza sopra i boschetti, cigola sulla tavolozza dei grigi, verdi, grezzi e l’acidità gialla della colza. A Love Supreme2. Sfilo. Immaginario contemplativo che si avverte dai binari della ferrovia quando per il blu è il momento di cedere alle rose e ai vermigli. Sfilo.
E qui siamo. Qui Chantal Vey incrocia le mie divagazioni ferroviarie. Figura dei paesaggi. Strana memoria...

J’ai fait la saison dans cette boîte crânienne, tes pensées je les faisais miennes.3
[Ho trascorso la stagione in questo cranio, i tuoi pensieri li facevo miei.]

Lei cammina. Cammina tra gli arbusti, sui passi di San Giacomo. Camminare, fotografare. Cammina nel quotidiano e lungo termine. Disegna e registra anche, lo imparerò più tardi. Camminare è danza, equilibrio, pericolo, luce cinematografica e incontri che collocano e fanno parte del suo lavoro artistico da sempre. Camminare è appartenenza a un territorio, è affrontare, sfuggire al confinamento dell’immobilità, confrontarsi con le sue prigioni.

Le nuvole si sprofondano lucide
dentro le pozze roventi d’azzurro
e i rami si perdono nel sole.
Questo è il tempo in cui rido, in cui piango,
questo è il tempo in cui attendo la grazia,
questo è il tempo in cui sono felice,
questo è il tempo in cui vago pei campi,
questo è il tempo in cui guardo i cieli…4

Chantal Vey è un’artista in movimento, un’artista dell’andirivieni. Fare immagini rende vivi. Fin dai nostri primi scambi - vent’anni fa - l’ho immaginata istintivamente e immutabilmente sotto la luce fluttuante che attraversa il fogliame di una foresta. Queste macchioline magiche truccano il viso man mano che cammina. Strana memoria...

A volte mi piace essere sorpresa dal suo lavoro, dalle sue emozioni, dai suoi ancoraggi, dalle sue posture. Amo la camminatrice che va avanti con una potenza e una volontà motrici. La vedo anche nella sua zona oscura, sul filo, muta, a gestire quelle rabbie sorde e profonde che riconosco per portarle così tanto. Nutrono il lavoro, aiutano a mantenersi forti.

Non è così semplice scrivere sul lavoro di un’amica; perché la si conosce troppo, perché la fiducia reciproca, il riparo amicale spezzano una certa neutralità dello sguardo. Cosa sto dicendo? Lo sguardo non è mai neutro. L’acidità del giallo. Parto.

Gli uomini non si separano da nulla senza rimpianti, e anche i luoghi, le cose e le persone che li hanno resi più infelici, non li abbandonano senza dolore. Queste parole di Apo5 risuonano. Risuonano per me, vagabonda cittadina nomade, risuonano per quello che proietto in questo lavoro di Chantal Vey su Pier Paolo Pasolini. Avrebbe letto queste righe? E perché no?
Abbandonare senza dolore. Penso alle mappe e cartografie6 dell’artista. Nomi, linee, tracciati, delimitazioni, rizomi. I vivi e i morti. I passeggeri. I fugaci e i fedeli. I luoghi e le figure di traverso. La strada in furgone sostituisce il camminare.
E tutta la sua opera va colta e considerata come tale. Per strati. Non può essere capita in superficie. Nel lavoro di Chantal Vey ci sono dunque molteplici letture, voci, gesti che si ripetono, parole che si scrivono, riscrivono, riscrivono ancora, ancora, ancora. Ancora. I ritmi performativi, le ripetizioni estenuanti, stancanti per i corpi. Il dolore esausto7.

Penso a Joan Didion, penso a Kerouac8. Allora mi direte: “Ma questo testo non parla di Pasolini! Non si occupa dei giornali, di La lunga strada di sabbia, di Petrolio9, del decennio che l’artista ha trascorso con lui, i suoi amici, i suoi luoghi – quelli che amava e che ha abbandonato senza dolore – le sue rivolte, le sue lotte contro dei sistemi iniqui, i suoi desideri, le sue ferite sociali”. Allora, vi rispondo di sì. Questo testo parla di tutto ciò attraverso l’insieme del lavoro di Chantal Vey. Bisogna guardarlo. La strada come compagno. Le terre, i confini, il disordine, le interpretazioni plurali, la vita, la morte, i viaggi, la presenza accresciuta




della contemplazione e della ricerca, l’esilio, la libertà, il pensiero spaventoso che si perde, il cuore che salta; tutto evoca le loro affinità.

Cosa fa una quarantenne10 sulle tracce di un genio ucciso quasi quarant’anni prima? È qui che la finezza del lavoro dell’artista interviene e chiede agli altri un impegno. Non tutti ne sono capaci.
Le immagini falsamente fisse vivono con il timbro infinito di Pier Paolo Pasolini11. Le fotografie escono dal muro, raccontano un’Italia senza tempo, un paese schizofrenico con le sue passioni, i suoi mali, le sue magie. Raccontano la lingua, il Mediterraneo, il calore dei corpi e del sangue. Raccontano la politica, la complessità e l’anarchia. Offrono anche la finzione, il sapore delle giornate, le vie pasoliniane. Le ore a cantare al volante sembrano così giuste lungo questa costa, nei baretti. La lingua che batte e le ombre che schiacciano.
La dolce vita e le camicie nere. I poeti e i mafiosi. La bellezza e le rovine. Gli eccessi. Chantal ed io proviamo una tenerezza comune per gli eccessi oscuri e gioiosi. Qui si vive e si parla ad alta voce, si mangiano alcune lettere, si dice co’ ‘e mman’. La complessità delle doppie letture. L’ombra e la luce. Tutto questo si riflette nel lavoro dell’artista. E quelli che non si prendono la briga di approfondire il loro pensiero, il loro sguardo, quelli che omettono la letteratura, la poesia, la filosofia non conoscono le opere di Chantal Vey. Non conoscono l’importanza delle linee e delle influenze, né i riferimenti; trascurano.

Il rumore dei passi su questa scala alla luce fiorentina. Il vento leggero tra le frange degli ombrellini sbiaditi che pugnalano la terra sterile. Il crepitio. La traccia di questo pneumatico, testimone immobile, chiacchierone. Segna il punto fermo. La fine. Parla degli amori morti, delle passioni assassine, delle notti serene. Parla dei pianti di tenerezza, degli amanti e dei piccoli morti. Parla della piaga dell’estasi. Parla della perdita. Ignorarla, vorrebbe dire dimenticare che l’Italia è anche tragedia.

Émilie Flory
Parigi, maggio 2025


1. Il titolo è un verso di Pier Paolo Pasolini tratto dalla poesia Sonnetto #89, 1971-1973 in Sonnets, Poésie Gallimard, 2003. Pubblicazione postuma.
2. John Coltrane, A Love Supreme, 1965, Impulse !.
3. Verso di Alain Bashung, Édith Fambuena, Jean-Marie Fauque, Jean-Louis Pierot della canzone La nuit je mens nell’album di Alain Bashung Fantaisie militaire, 1998, Barclay/Polygram.
4. Pier Paolo Pasolini, Dal diario, 1945-1947 (estratto). Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1979.
5. Tenera familiarità quando nomino Guillaume Apollinaire. Estratto dai testi postumi: Le flâneur des deux rives, 1919. Ristampato dalle Éditions de l’éclat, 2018.
6. Riferimento alle opere dell’artista Cartography, 2013-2023 e Palimpsestes topologiques, 2014-2018.
7. Riferimento alle opere dell’artista Writing performance, 2019-2025 e “Io so…“_Omaggio a “Il romanzo delle stragi” di Pier Paolo Pasolini, 2019-2025 e l’insieme dei disegni realizzatidal 2020.
8. Joan Didion e Jack Kerouac, autori statunitensi, simbolizzano per me la strada, la libertà e le cronache letterarie.
9. Pier Paolo Pasolini, La lunga strada di sabbia, 1959 e Petrolio (testo incompiuto, pubblicato postumo nel 1992).
10. Chantal Vey ha iniziato il lavoro su Pasolini nel 2014.
11. Riferimento al video La Pineta di Cecina, 2016.


Tradotto dal francese da Allessandro Bresolin

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